La commedia dell’Arte, storia e tecniche di un’eccellenza italiana
Il primo anno comico viene inaugurato nel 1545 quando, a Padova, un atto notarile ratifica l’accordo di otto uomini disposti ad abbandonare i loro mestieri per abbracciare la professione di attori: il documento è il certificato di nascita dell’attore moderno, che vive del proprio mestiere.
«Venga un malanno a questa professione e a chi ne fu l’inventore! Quando mi unii a costoro pensavo che avrei avuto una vita felice e invece è un continuo peregrinare per terra e per mare, e alloggiamo nelle osterie dove si sta male,a prezzi alti! Ho ereditato il mestiere da mio padre: forse avrei tratto maggior profitto da altri mestieri…ma la verità è che basta provare il mio lavoro anche una, due volte, per non abbandonarlo mai più»
Domenico Bruni (XVI sec.) è l’artigiano di uno spettacolo di fattura squisitamente italiana, la Commedia dell’Arte: una professione che, stando alla testimonianza del comico, val la pena di vivere fino in fondo.
La Commedia dell’Arte è il fenomeno del professionismo attorico organizzato in compagnie “di giro”: questa è una definizione più o meno scientifica di una tradizione ricchissima di arte e di cultura che, probabilmente, è l’epos nazionale mai emerso, il racconto condiviso alla base di una cultura delle consuetudini, dello spirito tipicamente “italiano”, delle dinamiche che intrecciano arte e potere.
Le maschere di Arlecchino, Pantalone, Brighella, ecc, sono simboli di un fenomeno artistico, è vero, ma anche reali tracce di una stratificata e complessa storia individuale di chi, a partire dalla metà del Cinquecento, le ha portate in giro nelle piazze italiane e nelle corti rinascimentali.
Secondo alcuni storici, le maschere provengono dalla tradizione teatrale delle Atellane, ed anche del carnevale ma sicuramente molte di esse sono frutto della creazione dei Comici dell’Arte per evocare il ricordo dei rituali pagani e, nell’immaginario dell’uomo rinascimentale, la maschera di cuoio, esibita in scena, ricorda sia il lato oscuro dell’individuo, sia la natura dell’attore come essere dimidiato, capace di vivere anche in una dimensione “altra”, un “al di là”. Il comico dell’Arte conduce realmente un’esistenza “al confine”: per l’attore moderno, la lotta per la sopravvivenza è inseparabile dalla ricerca della libertà, una libertà sempre a portata di mano ma mai concretamente conquistata o, se afferrata, goduta entro i limiti concessi dal potere politico.
La storia del teatro è anche il territorio del sapere che agisce da cerniera tra la Storia e la Letteratura, offrendo completezza allo sguardo sulla società e sulle dinamiche che, nella fitta relazione di causa-effetto, nel tempo hanno dato forma e sostanza alla fenomenologia del consumo dello spettacolo dal vivo: molte delle tecniche alla base della performatività attoriale sono eredità dello studio, della pratica assidua e della passione di individui che, senza risparmiarsi, affidavano il successo dello spettacolo «a gli atti, a’ modi, a’ gesti ed alla voce».
Arcangela Palombaro
Tirocinante CdLM Filologia e Tradizioni Letterarie – Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze Sociali