Aida, centocinquant’anni di valore
La ricca campagna digitale #aida150 è stata realizzata dal Ministero della Cultura per celebrare il 150° anniversario della première europea dell’Aida alla Scala di Milano, allestita l’8 febbraio del 1872. Il valore di questa celebrazione è tanto più prezioso, quanto più significativo fu l’evento meneghino per Giuseppe Verdi (1813 –1901) che compose l’opera, in quattro atti, con libretto di Antonio Ghislanzoni (1824-1893), su commissione di Ismail Pascià, Khedivè d’Egitto, per celebrare l’apertura del Canale di Suez (1869)[1]. La produzione di Verdi dal carattere più strettamente risorgimentale è quella compresa tra il 1842 e il 1849 e l’opera più significativa, in tal senso, è il Nabucodonosor. Tuttavia, il compositore diede vita al suggestivo coro del “Nabucco” per ottenere popolarità e successo, non per sincero spirito di adesione al diffuso sentimento patriottico e, anche successivamente, scelse di liberare dalle proprie partiture l’impeto di un popolo animato dal desiderio di libertà, per rinsaldare la visibilità conquistata dopo anni di duro lavoro e di difficoltà economiche e familiari. Giuseppe Verdi affermava che in alcuni momenti si compiono passi falsi o si cade ma, senza preoccuparsi, bisogna rialzarsi e andare avanti, e riportò brillanti vittorie mettendo pienamente a frutto il proprio talento, facendo delle difficoltà lo strumento per comporre la sinfonia del suo successo. All’apertura del cantiere di lavoro dell’Aida, Verdi godeva ormai dell’autorità artistica che permetteva libertà di scelta nei temi e nei contenuti: in tutta la produzione seppe prestare la sua creatività alla generazione di valore. Quelli che il compositore definì “anni di galera”[2], nel ritmo serrato di un lavoro febbrile e indefesso, accolsero l’allestimento di opere in grado di accendere la platea con un energico ottimismo politico e sociale. La drammaturgia di Verdi esalta l’umanità di individui animati da nobili valori e pronti ad affrontare le difficoltà sullo slancio esplosivo di una tradizione musicale tutta italiana. Il 150° anniversario della première europea dell’Aida diventa l’occasione, per gli studenti, di rinnovare lo spirito di missione legato allo studio come strumento per affinare il talento e le capacità necessari a costruire valore con un ruolo attivo nella società, fiorendo ciascuno nel proprio ambito professionale, sull’esempio di Giuseppe Verdi. Il dipartimento del DILASS si unisce ai festeggiamenti in corso, augurando a tutti i giovani e gli studenti di esprimere il massimo potenziale che possiedono anche lasciandosi ispirare dalla storia della grande musica italiana.
«L’Italia è un faro: i musicisti vengono da tutto il mondo per studiare musica nel nostro Paese»: così Isabella Crisante, musicista abruzzese, evidenzia l’importanza della tradizione musicale italiana nel mondo. L’artista ha contribuito, nel 2014, all’allestimento dell’Aida di Franco Zeffirelli, in qualità di assistente di regia. «È importante celebrare il centocinquantesimo della prima dell’Aida perché è un dato storico rilevante il fatto che l’opera fu commissionata a Giuseppe Verdi per l’inaugurazione del Canale di Suez: questo testimonia la statura internazionale del compositore; e la committenza in sé ha dato lustro e prestigio ad un evento cruciale dal punto di vista geopolitico ed economico. Verdi impiega armonie e intervalli orientaleggianti per dare esotismo ai personaggi di una storia evergreen, una storia di amore e potere, che funziona oggi come allora, affrontando temi attuali come l’amore contrastato, la guerra, la diversità. Nel 1872 è difficile portare in scena tutto ciò e, all’indomani dell’Unità d’Italia, Verdi affronta un tema che fa risuonare una corda ancora molto delicata per il popolo italiano, portando in scena il tema del popolo etiope che chiede pietà. Ormai, si assiste all’opera per puro intrattenimento, per la spettacolarità ma, benché l’Aida sia definita “l’opera degli elefanti” per l’imponenza dell’allestimento, i momenti più intensi, più intimi, sono quelli in cui emergono i sentimenti.
Essere parte dell’allestimento, da musicista, significa ricostruire una realtà attraverso il recupero di tracce di situazioni scomparse o semi-scomparse; per me ha avuto significato nella misura in cui mi sono resa tramite, strumento per restituire la profondità di emozioni e sentimenti che emergono su un palcoscenico che ospita un cast numerosissimo, che io ho sostenuto nel percorso di preparazione dell’allestimento, prima studiando insieme l’opera e poi cercando la magia, quelle connessioni profonde con il cast e con l’orchestra. Ti senti forte, parte di un organismo vivente: fai in modo che tutti, ma proprio tutti si sentano indispensabili, perché è questo che fa funzionare lo spettacolo. L’amore è una forza. È come creare un arazzo con mille fili colorati. E questa forza permette di affrontare e superare le mille difficoltà che emergono: in un cast di ottanta, novanta persone i problemi si moltiplicano in maniera esponenziale. Uno spettacolo così immenso non riesce se non è sostenuto dall’amore, che significa anche valorizzare al massimo ogni singolo contributo».
Arcangela Palombaro
Tirocinante CdLM Filologia e Tradizioni Letterarie – Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze Sociali
[1] C. Sorba, Il Melodramma della Nazione. Politica e sentimenti nell’età del Risorgimento. La Terza, Roma, 2015
[2] M. Carrozzo, C. Cimagalli, Storia della musica occidentale, Roma, Armando, 1997, p. 181